Nei paesi martoriati dalla guerra
spesso la produzione artistica subisce una battuta d’arresto, ancor di più se
si tratta di paesi in cui, fino a poco tempo prima, l’arte veniva bollata come
espressione dissoluta, a meno che non fosse celebrazione del potere.
Ma l’arte, proprio in questi
luoghi, può diventare forza ricostruttrice per gli animi marchiati dal dolore
prodotto dai conflitti, dalle ingiustizie e dalle discriminazioni. Succede
questo in una Kabul distrutta da tre decenni di conflitti e devastazioni. Qui un
collettivo di artisti chiamato “Rosht”, crescita, si dedica all’arte urbana
ridonando speranza e veicolando messaggi attraverso le immagini.
Figura emblematica di questo
collettivo è Ommolbanin Shamsia Hassani (Teheran, 1988), una giovane ragazza,
oggi professore associato di scultura presso la Kabul University, che con le
bombolette spray realizza graffiti tra le macerie e i ruderi della città. La
passione della Hassani per il graffito nacque in occasione di un workshop
dedicato alla street – art tenuto
dall’artista britannico Chu nel 2010 proprio a Kabul. Prima di allora la parola
“graffiti” era pressoché sconosciuta in Afghanistan e la stessa artista
concepiva la pittura su tela come la sola arte possibile. Ma, nonostante le
difficoltà iniziali, la bomboletta spray è ben presto diventata il mezzo ideale
per liberare i propri pensieri e produrre un’arte per tutti, in particolar modo
per una comunità in cui la percentuale di individui privi di istruzione è
altissima e l’arte tradizionale diventa un lusso, o comunque un disciplina
propria degli occidentali e quindi vista con circospezione.
Oggetto di riflessione per la
Hassani è il ruolo della donna nella società afghana perché, secondo lei,
l’artista deve porsi come interprete della propria cultura, che è a sua volta
elemento rappresentante una nazione, e l’arte fa parte di essa. La donna
afghana viene però vista in maniera moderna, liberata dai soliti cliché. Il burqa, elemento che prepotentemente
caratterizza le donne di quella nazione, lascia trasparire le forme del corpo
femminile. Emblematico è il graffito da lei realizzato in occasione del
workshop del 2010, nonché suo prima opera di grandi dimensioni, che raffigura
sei donne afghane coperte dal burqa azzurro che nascono dalle acque, quasi a
voler richiamare il mito di Venere che nacque dalla spuma delle onde del mare.
Per la Hassani l’acqua è da sempre associata alla pulizia e, attraverso
quest’opera murale, vuole provare che le donne sono “pulite”. L’artista si fa
quindi interprete del desiderio di emancipazione delle donne in una società che
le relega ad un ruolo marginale e le mortifica ogni giorno in nome di una legge
che nel tempo è stata traviata e travisata.
Attraverso la figura della donna,
la Hassani conduce ad una riflessione più ampia sulla guerra e le sue
conseguenze. Presso l’antico centro culturale russo di Kabul l’artista ha
realizzato un altro graffito raffigurante una donna in burqa seduta su una
scala che sembra condurre verso il nulla e vicino c’è la strofa di una poesia
che recita “un flusso d’acqua può tornare ad essere un fiume anche se i pesci
sono tutti i morti. Non vi è alcun ritorno per i defunti”. Il riferimento alla
situazione afghana è chiaro. La guerra ha portato via tante vite umane e, anche
se l’Afghanistan adesso può ricominciare a vivere, esse non torneranno mai più.
Il lavoro di Ommolbanin Shamsia
Hassani non si limita solo al graffito. Nel 2009 ha vinto il primo premio del
concorso indetto dall’associazione Freedom to Create con l’opera “From Sound to
Image”. Si tratta di un collage che suggerisce una sorta di accusa verso le
false promesse di coloro che si presentano come portatori di salvezza. Esso si
divide in due settori, nel primo si vede la linea tondeggiante di un volto, di
cui spicca la bocca rossa, circondato da microfoni e da una serie di bolle
colorate; l’altro settore è occupato da foto in bianco e nero di volti di
donne, uomini e bambini alterati dalla disperazione del pianto. Il primo
settore rappresenta le belle promesse (simboleggiate dalle bolle colorate) dei
falsi salvatori della società martirizzata dalla guerra, il secondo settore non
è però raggiunto da queste promesse e ci mostra la gente, senza colore, che
continua a soffrire.
(Articolo pubblicato su Franznews)
(Articolo pubblicato su Franznews)